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L'elevato rischio di povertà cui sono esposte le donne divorziate deriva anche dalla prassi giuridica corrente, stando allo studio commissionato dalla CFQF. La giurisprudenza impone che la persona tenuta a versare gli alimenti - in generale l'uomo - non venga intaccata nel suo minimo esistenziale.
Ne consegue che a far affidamento all'assistenza sociale sono, più spesso e in misura maggiore degli uomini, le donne divorziate. Infatti, dopo un divorzio, oltre il 10% delle donne vive al di sotto del limite minimo esistenziale, contro il 5% per gli uomini che si trovano nella stessa situazione. Queste persone diventano tributarie dell'aiuto sociale e dei parenti stretti. All'obbligo di sostentamento si può richiamare unicamente la famiglia d'origine della donna bisognosa di aiuto sociale.
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25\06\2007
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FONTE:http://www.tio.ch/aa_pagine_comuni/articolo_interna.asp?idarticolo=333046&idtipo=11
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Dopo aver capito che nel mondo lavorativo contiamo più o meno come il due di briscola, dobbiamo imparare a convivere anche con un altro "esaltante" dato: noi donne siamo più a rischio degli uomini per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro.
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Insomma, oltre al danno anche la beffa: siamo pagate di meno, abbiamo meno possibilità di fare carriera se non mascolinizzandoci del tutto ma, conti alla mano, siamo più suscettibili di subire infortuni mentre lavoriamo.A rivelarlo è l'Inail che, alla vigilia della giornata mondiale della salute e sicurezza sul lavoro, ha fatto simpaticamente sapere che alla riduzione degli infortuni sul lavoro nel 2006 hanno contribuito esclusivamente gli uomini (-1,7%), mentre tra le donne che lavorano si registra stabilità (-0,1%). Le donne vittime di incidenti mortali sono, secondo l'Inail, "solo" l’8% sul totale ma se si calcola che di solito le donne sono impiegate in mansioni meno rischiose si capisce che la parola "solo" in questo contesto è quanto di più inadeguato possa esserci.L’aumento dei casi mortali tra le donne che lavorano è strettamente legato, secondo l'Inail, all'aumento delle morti sul lavoro in quei settori che tradizionalmente non sono a rischio: attività immobiliari e servizi alle imprese, sanità e altri servizi pubblici.Ma possiamo anche gioire perchè nelle rilevazioni sugli infortuni sul lavoro non cè differenza tra uomini e donne per quanto riguarda le fasce d'età coinvolte: l’80% degli infortuni sul lavoro si concentra nelle fasce di età centrali (18-34 e 35-49 anni), equamente ripartiti per quanto riguarda gli uomini e con una decisa prevalenza nella fascia 35-49 anni per le donne mentre gli infortuni mortali si concentrano tra i 35 e i 49 anni sia per i maschi sia per le femmine.Interessante il parallelismo possibile tra la condizione delle donne che lavorano e la condizione degli extracomunitari che lavorano in Italia e che, secondo l'Inail, sono l'altra fascia sociale maggiormente esposta agli infortuni sul lavoro: le comunità più colpite, dice l'Inail, sono quella marocchina, albanese e rumena sia per la concentrazione dei lavoratori in mansioni e settori di attività a rischio elevato di infortunio sia per l'accesso di queste persone a livelli di formazione, di preparazione e di esperienza generalmente inferiori a quelli dei colleghi. Toh, i conti tornano vero? Donne ed extracomunitari sono le categorie sociali meno facilitate sul lavoro, non ci voleva l'indagine dell'Inail ma certo avere dati alla mano è più utile che supporre l'esistenza di certe discriminazioni, nonostante passino sempre più inosservate...
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28\04\2007
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FONTE:http://mondodonna.blogosfere.it/2007/04/infortuni-sul-lavoro-donne-sempre-piu-vittime.html
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WEF: IN ITALIA DONNE DISCRIMINATE SUL LAVORO
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Ricerca del World economic forum: Italia al 45esimo posto su 58 nella classifica mondiale della parità dei sessi
Operaia al lavoro (Emblema)Le italiane, con un indice di 3,50 punti, arrivano solo in 45esima posizione all'interno di una classifica di 58 Paesi che vede ultimi in assoluto Pakistan, Turchia e Egitto.
Il rapporto, a firma del capo economista del World economic forum, Augusto Lopez-Claros, prende in considerazione cinque criteri: la partecipazione economica e la parità di remunerazione tra i due sessi; le opportunità di accesso a tutti i tipi di lavoro; la rappresentatività nelle strutture decisionali dei paesi; l'accesso all'educazione; infine l'assistenza alla salute e alla maternità. L'Italia detiene il primato negativo per partecipazione e opportunità economiche (51 esimo e 49 esimo posto), si colloca al 48esimo posto per presenze femminili al potere e al 41 esimo per accesso all'educazione. Punti di forza restano però la tutela della salute e maternità: qui il Paese delle «mamme» si impenna verso la cima della classifica con l'11 esimo posto.
Laconico il commento del Wef: «come prevedibile in Paesi con una cultura notoriamente patriarcale, Italia e Grecia hanno una performance scadente nella partecipazione e nelle opportunità economiche». Tra i Paesi del G7, la palma va al Canada (settimo nella graduatoria globale) davanti a Gran Bretagna e Germania. La Francia è 13esima, gli Stati Uniti 17esimi e il Giappone 38esimo. Indietro nella classifica anche la Svizzera (34esima), dietro alla Cina. In fondo alla graduatoria, davanti all'Egitto si trovano Turchia, Pakistan e Giordania. «Nessun Paese è riuscito ad eliminare la discriminazione tra i sessi, tuttavia i paesi nordici sono riusciti a ridurre il gap e a dare un modello realizzabile al resto del mondo», sottolinea il Wef. Il rapporto non manca di sottolineare, quanto all'accesso sul mercato del lavoro, che spesso le donne in posizioni manageriali devono fare una difficile scelta tra carriera e famiglia. Negli Usa, ad esempio, il 49% delle donne con posizioni ai vertici non ha figli contro il 19% dei loro colleghi maschi. Il Wef, infine, rileva la correlazione esistente tra discriminazione e competitività nel senso che i Paesi più competitivi tendono ad avere il minore «gender gap» e viceversa. «La correlazione non implica necessariamente la causalità, ma - conclude lo studio - questi paragoni forniscono un'indicazione preliminare del legame tra le pari opportunità per le donne e il potenziale di crescita di lungo termine di un paese».
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CONTRATTI DI INSERIMENTO, DONNE DISCRIMINATE
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Iniziativa della Cgil contro le forme di assunzione introdotte dal decreto 276
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Anche in Friuli Venezia Giulia, come nel resto del paese, sarà possibile applicare alle donne neoassunte il contratto di inserimento previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 276 del 2003. Questa forma di assunzione, incentivata anche attraverso benefici economici alle imprese, consente di fatto il sottoinquadramento delle donne, che a parità di mansioni possono essere collocate fino a due qualifiche più in basso dei loro colleghi maschi. Una novità duramente contestata a livello nazionale dalla Cgil, che la considera una violazione del principio costituzionale di parità di trattamento tra uomini e donne. Anche la Cgil del Friuli Venezia Giulia è scesa in campo contro la norma, dopo l’approvazione di un ulteriore decreto con il quale il Ministero del Lavoro ha individuato le aree territoriali di applicazione dell’articolo. Il provvedimento – che peraltro, secondo alcune voci, potrebbe essere ritirato nei prossimi giorni – estende infatti la possibilità del sottoinquadramento all’intero territorio nazionale, dal momento che tutte le regioni presentano un differenziale tra occupazione maschile e femminile superiore ai limiti posti dal decreto 276 all’applicazione del contratto.Se il Governo non tornerà indietro, secondo Giuliana Pigozzo della Cgil regionale, «verrà sancita per legge una evidente discriminazione nel trattamento salariale fra uomini e donne, in contrasto non solo con il principio costituzionale e con la legislazione europea, ma anche con il nuovo Statuto che la Regione sta approvando». Da qui l’appello che la Cgil ha rivolto per lettera al Presidente della Regione, agli assessori al Lavoro e alle Pari opportunità, ai consiglieri regionali e a tutti i membri della Commissione pari opportunità. «Se è vero che la Regione persegue la parità giuridica, sociale ed economica fra donne e uomini – scrive la Pigozzo nella lettera – Giunta e Consiglio devono intervenire con decisione nei confronti dei ministeri competenti per contrastare le norme discriminatorie introdotte dall’articolo 54».
07\01\2005
FONTE : http://www.fvg.cgil.it/News/news-0260.htm
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DISCRIMINATE LE DONNE NELLE CARRIERE SCIENTIFICHE
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Alle soglie del XXI secolo la parità tra i sessi non si può dire completamente raggiunta: esiste ancora in molti settori operativi e decisionali un atteggiamento discriminante nei confronti della donna ed uno di questi è quello della ricerca scientifica. A provarlo è una attenta ed accurata indagine di un gruppo di ricercatrici del CNR che ha raccolto ed esaminato una considerevole quantità di dati inerenti alla presenza femminile nelle professioni scientifiche.
I risultati pubblicati nel volume Le figlie di Minerva. Primo rapporto sulle carriere femminili negli Enti Pubblici di Ricerca italiani, a cura di Rossella Palomba, ricercatrice del CNR, sono stati discussi nel corso della Terza Giornata dedicata alle "Donne nella Ricerca", tenutasi nell'aprile scorso, presso la sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Vi hanno partecipato, fra gli altri, il Presidente del CNR, Lucio Bianco, il Premio Nobel Rita Levi Montalcini, Rossella Palomba, Maura Misiti ricercatrice del CNR, l'allora Sottosegretario per la Ricerca Scientifica, on. Antonino Cuffaro, Marina Piazza, Presidente della Commissione per le Pari Opportunità.
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Il Presidente del CNR, nell'aprire i lavori, ha sottolineato come l'Ente, in sintonia con il dibattito in corso a livello europeo, sia stato tra i primi ad occuparsi della problematica inerente alla valorizzazione della presenza femminile nel mondo della ricerca, incoraggiando la costituzione di un Gruppo di Lavoro di Ricercatrici, diretto da Rossella Palomba.
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Le Figlie di Minerva è uno dei primi ed importanti risultati dell'attività del Comitato ed ha ottenuto ampi consensi nonché gli elogi di Philippe Busquin, Commissario europeo per la ricerca, per la novità e l'accuratezza dell'indagine condotta.
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Il prof. Bianco nel suo intervento ha posto l'accento "sull'importanza di adottare una politica del personale che esalti le competenze e le capacità di ciascuno, quindi anche delle donne", ed ha espresso la volontà di "favorire lo sviluppo di una condizione di pari opportunità che risponda ad un criterio di efficienza e non di privilegio nei riguardi delle donne".
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Dall'analisi dei dati emerge che le discriminazioni di cui le donne soffrono nel mondo della ricerca sono di vario genere - ha sottolineato la Palomba - una di tipo "orizzontale", in quanto la presenza femminile si concentra soprattutto in alcuni campi scientifici, come ad esempio le scienze biologiche e mediche, o in settori specifici nell'ambito di discipline più ampie; l'altra di tipo "verticale", determinata dal fatto che le donne pur rappresentando più della metà del personale scientifico all'interno delle istituzioni pubbliche di ricerca sono in numero esiguo tra i dirigenti e quasi assenti ai vertici decisionali.
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Un altro risultato emerso rivela, inoltre, che gli uomini hanno maggiore probabilità di lavorare con un contratto a tempo indeterminato, mentre alle donne si propone più facilmente un contratto a breve termine che nella maggior parte dei casi è fonte di insoddisfazione, di stress e di insicurezza esistenziale.
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Se la diseguaglianza è un dato evidente, parlarne è ancora un tabù. "Per chi lavora nel mondo scientifico - sostiene la Palomba- è difficile ammettere che esistono delle discriminazioni" quindi "è necessario individuare le forme di esclusione istituzionalizzata per migliorare la qualità della scienza e della tecnologia in nome della giustizia sociale e della democrazia nel mondo scientifico".
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Da una panoramica sulla distribuzione di donne negli Enti pubblici emerge che esse rappresentano il 16,8% del personale di ricerca presso l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il 55,5% presso l'Istituto Superiore di Sanità, oltre il 60% nell'Istituto Nazionale di Ricerca per l'Alimentazione e la Nutrizione, differenze che dipendono dall'elevata femminilizzazione delle discipline che ha consentito il maggiore ingresso delle donne in alcuni enti scientifici. Presso il CNR, invece, è stato registrato un notevole incremento della presenza di ricercatrici: se nel 1978 erano solo il 14%, attualmente hanno superato il 30%.
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Tuttavia, l'aumento della presenza femminile nel campo scientifico non è ancora proporzionale al successo delle donne nel campo formativo, ha osservato la Palomba.
All'università le donne fanno registrare meno abbandoni (10,3% contro il 15, 4% degli uomini), si laureano più spesso nei termini (10,6% contro il 9% degli uomini) ed ottengono la votazione massima con frequenza maggiore (26,9% contro il 17,7% degli uomini).
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Dimostrano di essere "in gamba" anche nelle discipline più mascoline, quali ingegneria ed agraria, laureandosi con votazioni elevate. Le ragazze escono, quindi, dall'Università con tutte le carte in regola per una brillante carriera scientifica.
Eppure il Rapporto dimostra che le nuove assunzioni di personale di ricerca negli Enti pubblici italiani non sembrano tenere conto di queste capacità, se si pensa che nel triennio 1995 - 1998 la percentuale dei neoassunti è rappresentata dal 63% di uomini e dal 37% di donne.
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Nei pochi casi in cui le donne partono con un lieve vantaggio al momento dell'assunzione, come nelle discipline di tipo sociale, economico, biologico, già al secondo gradino della carriera sono superate dai colleghi maschi, che diventano la maggioranza nella dirigenza. Così il divario tra i due sessi si fa sempre più ampio man mano che si sale nella scala gerarchica dei ruoli: le donne non riescono a superare il tetto del 7% di visibilità ai vertici della carriera scientifica.
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Questo trend è poi rilevabile in ogni disciplina, ente, istituzione e paese. Il Rapporto ETAN della Commissione Europea sulle donne nella scienza ha dimostrato che l'esigua presenza femminile ai livelli più alti dell'università e delle istituzioni scientifiche è un dato comune a tutti i paesi europei. Tale situazione costituisce - secondo il Rapporto ETAN - uno spreco in termini di capacità professionali, oltre ad una violazione del diritto di essere valutati per le proprie capacità e per il proprio lavoro e non per l'appartenenza di genere.
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Per sanare tale squilibrio nell'ambito del mondo scientifico, il Presidente Bianco ha costituito una Commissione di studio per la valorizzazione delle donne nella ricerca scientifica e, nel corso della Giornata, esponenti di questa commissione hanno formulato proposte concrete, quali, un target di presenza femminile, almeno del 40 %, nelle strutture scientifiche e nei comitati di valutazione in cui la nomina risponda a criteri di tipo politico; il riequilibrio di genere nella composizione delle commissioni concorsuali di nomina in linea con la legge Bassanini; l'assegnazione di borse di studio e l'organizzazione di corsi di aggiornamento per il reinserimento delle donne ricercatrici dopo lunghe assenze dovute a motivi familiari; il congedo di paternità e maternità pagato a tutti i ricercatori a tempo determinato.
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È stato inoltre evidenziato che i criteri di selezione delle donne sono basati su valori maschili, pertanto, è stato suggerito che nel criterio di valutazione sia introdotto anche il riconoscimento di caratteristiche prevalentemente femminili, quali la predilezione per ricerche interdisciplinari, indice di curiosità ed abilità, l'attenzione e la cura nel lavoro di formazione e la maggiore disponibilità a tramandare il bagaglio di competenze maturate; la capacità di collaborazione nell'attività lavorativa rispetto al tradizionale atteggiamento competitivo del modello maschile.
Punto di arrivo di questo cammino innovativo è una scienza fatta da uomini e donne - è stato auspicato nel corso della Giornata - "ma occorre una strategia per il cambiamento - ha concluso Marina Piazza - non è sufficiente la solidarietà spicciola tra le donne, le quali essendo in numero esiguo nei vertici professionali spesso tendono ad assumere modelli comportamentali maschili. La presenza delle donne nei luoghi decisionali deve essere accompagnata dal desiderio di cambiare il modo di lavorare e di valutare le capacità, altrimenti non ci potrà essere innovazione".
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FONTE:http://www.fi.cnr.it/r&f/n21/donne_scienza.htm
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DONNE DISCRIMINATE ANCHE IN OSPEDALE
Uno studio condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’Università di Firenze su 4499 pazienti ricoverati per ictus in ospedali di 7 paesi europei, tra cui l’Italia, ha messo in evidenza una forte discriminazione nei confronti del sesso femminile: esami come TAC, Doppler, ecocardiogramma e angiografia vengono effettuati in percentuali decisamente inferiori sulle donne
Le donne subiscono discriminazioni persino quando vengono ricoverate per gravi motivi di salute in ospedale. A denunciare questo diverso trattamento è una ricerca europea, pubblicata sul numero di maggio di Stroke, Organo Ufficiale dell’American Heart Association, che ha coinvolto 4499 pazienti ospedalizzati per primo ictus - 2239 maschi e 2260 femmine – ricoverati in 22 ospedali di 7 paesi europei: Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Spagna e Portogallo.
"Il nostro lavoro – spiegano Antonio Di Carlo e Marzia Baldereschi, dell’istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa (sezione di Firenze), che hanno coordinato la parte italiana assieme a Domenico Inzitari e Maria Lamassa dell’Università di Firenze e Charles Wolfe della Guy's, King’s and St Thomas' School of Medicine, di Londra – ha preso in esame un campione di donne più anziane degli uomini e con maggiori problemi di ipertensione arteriosa e di fibrillazione atriale. Per di più, venivano ricoverate in ospedale in condizioni cliniche più gravi dei pazienti maschi, e con più elevate percentuali di coma o di problemi quali paralisi, disturbi del linguaggio, difficoltà di deglutizione ed incontinenza urinaria".
Situazioni notevolmente più delicate rispetto ai maschi. Eppure esami come la TAC (85,7% negli uomini e 77,1% nelle donne), il Doppler dei vasi del collo (44% negli uomini e 32,8% nelle donne), l’ecocardiogramma (30,5% negli uomini e 22,8% nelle donne) e l’angiografia (9,5% negli uomini e 5,5% nelle donne) sono stati effettuati in percentuali significativamente inferiori nelle donne. Come conseguenza, il tipo di ictus è rimasto non classificabile nel 22,7% degli uomini e nel 31,2% delle donne; inoltre, interventi di chirurgia carotidea sono stati effettuati nell’1,5% dei pazienti maschi e solo nello 0,3% delle donne.
La ricerca ha messo anche in evidenza che a 3 mesi di distanza dall’ictus, le donne decedute erano il 30,9% contro il 26,1% degli uomini e, sempre dopo 3 mesi, le donne risultavano soggette a rischio handicap di quasi il 50% in più rispetto ai pazienti maschi.
"E ‘chiaro – sottolinea Antonio Di Carlo – che in Europa il sesso del paziente è un importante fattore che sembra condizionare sia l’uso delle risorse diagnostiche che l’esecuzione di alcuni interventi terapeutici. Una situazione assurda e inspiegabile, che sembra attribuibile ad una maggiore fragilità delle donne, ricollegabile non solo a fattori di tipo strettamente medico ma anche sociale: la presenza contemporanea di più condizioni morbose, i disturbi cognitivi, la mancanza del coniuge o di familiari con funzioni di "caregiver".
23\05\2003
FONTE:http://www.stampa.cnr.it/docUfficioStampa/comunicati/italiano/2003/Maggio/42_mag.htm
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DONNE DISCRIMINATE NELLE UNIVERSITA' AMERICANE
Nelle Università americane alligna una cultura che discrimina le donne. Sono queste le conclusioni di un rapporto sullo status delle donne nei dipartimenti di scienze e ingegneria delle Università reso noto ieri dalle National Academies. Secondo il rapporto, il fatto che il gentil sesso sia sottorappresentato è "problematico e imbarazzante" e le istituzioni dovrebbero creare un corpo per raccogliere dati, porre degli standard e monitorare l'aumento del numero di donne in campi tecnici.Intitolato "Beyond Bias and Barriers: Fulfilling the Potential of Women in Academic Science and Engineering", il documento dimostra che le donne sono pagate meno, promosse più lentamente, scavalcate quando si tratta di dare dei riconoscimenti e soggette a un implicita discriminazione di genere sia da parte dei colleghi che, paradossalmente, da parte delle colleghe.Il problema centrale, nota il rapporto, non è cercare di attirare le donne nella scienza, ma trattenerle una volta che sono state addestrate. Dal punto di vista culturale, infatti, le donne vengono ancora viste come quelle che devono stare a casa a badare ai loro figli. Il gap poi si approfondisce con l'anzianità nota il rapporto. Meno del 15 per cento dei professori ordinari nelle scienze della vita sono donne, una percentuale che scende al di sotto del dieci per cento nelle scienze fisiche. "Le donne di gruppi etnici e razziali minoritari sono di fatto assenti", recita il documento.Per cercare di risolvere il problema, il rapporto propone un istituto che monitori la situazione e ponga una serie di norme per espandere il ruolo delle donne nella scienza.
Science Now
20\09\2006
FONTE:http://www.cittadellascienza.it/news_dal_mondo/index.cfm?ID_LANCI=5194&ID_CAT=12&sw=1
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DONNE E IMMIGRATE : DISCRIMINATE DUE VOLTE
Le donne migranti con figli hanno un tasso di occupazione piu’ basso anche delle italiane (41,5% contro 48,3%). A denunciarlo è Linda Laura Sabbadini (Istat)
Le donne immigrate sono doppiamente discriminate. E’ quanto evidenziato dal direttore generale per le indagini su condizione e qualita’ della vita dell’Istat, Linda Laura Sabbadini intervenuta questa mattina alla prima sessione del ’’Global Forum on gender statistics’’, organizzato dall’Istituto di Statistica e dalle Nazioni Unite in collaborazione con il Dipartimento delle Pari Opportunita’, il ministero degli Esteri e la Banca Mondiale. Incontro che si prefigge di rilanciare a livello internazionale, dopo la Quarta Conferenza Mondiale delle donne di Paechino del 1995, le statistiche di genere , prezioso strumento per la progettazione di politiche mirate. ’’Il nostro Istituto- ha affermato aprendo i lavori il Presidente dell’Istat, Luigi Biggeri- e’ fortemente impegnato su questo terreno da vari anni, gia’ prima della Conferenza mondiale delle donne di Pechino. Il nostro percorso e’ stato segnato da una costante attenzione alle esigenze della societa’ civile, degli organismi di parita’, dei policy makers. Le statistiche di genere sono cresciute nel nostro Paese cercando di far fronte alla domanda emergente’’. Biggeri ha quindi ricordato come l’Istituto ha ’’avviato un processo di ridisegno delle statistiche ufficiali. Ma -ha concluso- il nostro lavoro non si ferma qui: dovremo porre l’attenzione anche su altre tematiche come la discriminazione, terreno difficilissimo ma che ormai necessita di essere misurato in tutte le sue manifestazioni’’.E a questo propostito Sabbadini ha sottolineato come ’’misurare la sistematica posizione svantaggiata nella societa’ dovuta a caratteristiche personali considerate differenti dalla norma e’ fondamentale’’.’’Le analisi condotte -ha evidenziato poi Sabbadini- mettono in luce in alcuni casi come non solo si esprima una discriminazione per etnia, o per generazione, ma che questa e’ accompagnata da una discriminazione di genere, che si configura come una ’discriminazione nella discriminazione’’’. Facendo quindi l’esempio degli immigrati nel nostro paese, che pur presentando piu’ alti tassi di occupazione degli italiani (67,3% contro 57,9% nella media del 2006) cio’ avviene al prezzo dell’inserimento nei lavori di piu’ bassa specializzazione, minor reddito, in aziende piu’ piccole e maggiormente vulnerabili, Sabbadini ha sottolineato come ’’la condizione delle donne immigrate e’ comunque peggiore (tassi di occupazione dell’84,2% per gli uomini e del 50,7% per le donne)’’.’’Le donne migranti -ha spiegato Sabbadini- presentano tassi di occupazione piu’ bassi degli uomini e piu’ alti delle donne italiane. Ma se si analizzano i tassi di occupazione per ruolo in famiglia emerge che le donne migranti in coppia con figli hanno un tasso di occupazione piu’ basso anche delle italiane (41,5% contro 48,3%)’’. ’’I problemi di conciliazione lavoro e famiglia -ha proseguito- sono per le migranti molto piu’ gravi in un Paese come l’Italia dove la rete di servizi sociali per l’infanzia e’ scarsa, i servizi privati alle famiglie sono molto costosi e le migranti non possono avvalersi delle reti di aiuto informale, fondamentale supporto per le donne italiane. Le immigrate dunque, in Italia soffrono un doppio problema e spesso una doppia discriminazione sia essa diretta o indiretta rispetto al lavoro’’.’’Ma -si chiede Sabbadini- che succede rispetto agli altri aspetti della vita sociale ed economica? Quanto e come si esprime la discriminazione nella discriminazione? Esistono scarsissime fonti per rispondere a questa domanda, dovremmo cominciare a lavorare di piu’ su questi aspetti’’.Ad esempio ha evidenziato ancora il direttore centrale dell’Istat, e’ ancora poco studiata la discriminazione dovuta alla condizione di disabilita’ anche nel mondo del lavoro rispetto ad altre cause di discriminazione quali sesso, razza e origine etnica, e eta’. ’’Dai dati dell’Istat in Italia -ha aggiunto- emerge che la disabilita’ e’ un fattore che fa incrementare l’esposizione al rischio di poverta’. Complessivamente tra le persone con disabilita’ ben il 47% riferisce risorse scarse o insufficienti contro il 31% della popolazione non disabile e tale differenza si mantiene stabile nelle diverse classi di eta’’’. ’’Sono peraltro i segmenti meno istruiti della popolazione ad essere maggiormente disabili, in particolare tra gli ultrasessantacinquenni e’ disabile il 21,2% delle persone con basso titolo di studio contro il 10,1% delle persone con titolo di studio medio alto (tra le donne anziane meno istruite la quota aumenta al 25% contro il 15% degli uomini). Le persone con disabilita’, inoltre, subiscono una discriminazione anche in termini di segregazione occupazionale, perche’ spesso svolgono lavori con scarse barriere di entrata, o che prevedono delle quote dedicate alle cosiddette ’categorie protette’, in occupazioni specifiche, o svolgono le mansioni meno qualificanti all’interno delle stesse occupazioni. Restano in ogni caso tra i piu’ vulnerabili’’. "Gli ultimi ad essere assunti, i primi a doversene andare’’ come detto dall’ Ilo (2003)’’. ’’La quota di persone disabili tra le donne -ha evidenziato ancora Sabbadini- e’ circa il doppio rispetto a quella degli uomini (6,1% vs 3,3%) ma la differenza e’ imputabile soprattutto alle differenze di genere che si registrano dopo i 65 anni (22.5% contro 13.3%)’’.’’Le donne anziane peraltro cumulano piu’ facilmente degli uomini le diverse tipologie di disabilita’: quella motoria fino al confinamento, della comunicazione, delle funzioni dell’attivita’ quotidiana: il 13,2% ne ha almeno due, mentre per gli uomini la quota scende al 7,2%. Sarebbe fondamentale capire -osserva Sabbadini- quanto anche in questo caso lo svantaggio femminile si esprime anche nell’emergere di una diversa esposizione al rischio di discriminazione’’.Per il direttore centrale dell’Istat , e’ quindi fondamentale ’’che in un piano di rilancio delle statistiche di genere si ponga al centro anche la misurazione delle discriminazioni e cio’ venga fatto con un approccio di genere, perche’ la discriminazione di genere potrebbe essere trasversale a tutte le discriminazioni’’.
Chiara Sirna
12\12\2007
FONTE:http://www.meltingpot.org/articolo11728.html
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DONNE DISCRIMINATE NELLE SPERIMENTAZIONI FARMACOLOGICHE
I farmacologi italiani si mobilitano in difesa delle donne, escluse dalle sperimentazioni cliniche dei farmaci in base alla nuova Direttiva europea 211. Gli specialisti della Societa' italiana di farmacologia (Sif) hanno scritto ai ministri della Salute, delle Pari opportunita' e dell'Istruzione perché ''l'Italia sollevi il problema in Europa''. Fra i motivi di questa discriminazione la difficolta' a reclutare le donne e per i problemi legati alle gravidanze e alle variazioni ormonali. Eppure, sottolinea la Sif, ''le donne sono le più grandi consumatrici di farmaci e di rimedi botanici e sono anche più soggette agli effetti collaterali''. I farmacologi propongono al ministro della Ricerca ''l'istituzione di un fondo specifico per la ricerca di genere, per cui e' difficile trovare finanziamenti privati. Un bando specifico porterebbe più ricercatori a occuparsi di questa tematica che ha importanti riflessi sulla salute pubblica, interessando più del 50% della popolazione''.
16\07\2004
FONTE:http://www.clicmedicina.it/pagine%20n%2012/donne_discriminate.htm
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"DONNE LESBICHE, DISCRIMINATE DUE VOLTE"
L’onorevole Manuela Ghizzoni replica alle accuse del centrodestra ed esprime la sua solidarietà per le vittime di violenze e pregiudizi
“Dieci milioni di donne che hanno subito violenze, molestie, ricatti e discriminazioni. E’ quanto rivela una ricerca dell’Istat, ma è solo una faccia della medaglia: il novanta per cento delle donne ha paura, si vergogna, non ha fiducia nell’aiuto delle istituzioni e quindi tace. Domani, 25 novembre, l’Onu celebra la giornata internazionale contro la violenza alle donne. Credo sia fondamentale, in questa occasione, ricordare quella parte dell’universo femminile che si trova a dover fronteggiare, nella vita quotidiana, una doppia discriminazione: in quanto donne e in quanto lesbiche.
Abbiamo letto in questi giorni dichiarazioni offensive nei confronti delle donne lesbiche, scelte come testimonial per una campagna sui diritti civili. Il centrodestra ha parlato di “amoralità” ed “edonismo”, imputando alle loro scelte personali e affettive persino il calo della natalità. E’ stata un’altra violenza, questa volta da parte di rappresentanti del mondo politico e delle istituzioni che dovrebbero garantire e promuovere il rispetto della dignità della persona, indipendentemente dalle scelte affettive che questa compie. Sono anche queste le cause che concorrono ad accrescere la diffidenza nei confronti delle istituzioni, e quindi ad aumentare il numero delle molestie e delle violenze non denunciate.
Stiamo lavorando come centrosinistra a una nuova legge a tutela delle donne che, mi auguro, trovi appoggi concreti anche nel centrodestra, e garantisca un sostegno per le vittime di persecuzioni e molestie. Sarà un ottimo passo avanti, ma inutile se non riusciremo, anche noi rappresentanti dei cittadini nelle istituzioni, a essere punto di riferimento per le vittime di violenza e per chiunque subisca discriminazioni, indipendentemente dal sesso, dalle opinioni e dal colore della pelle”.
24\11\2006
FONTE:http://www.manuelaghizzoni.it/news/201cdonne-lesbiche-discriminate-due-volte201d/
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DIRITTI ECONOMICI : LE DONNE DISCRIMINATE
Negli Stati Uniti la battaglia della nazionale femminile di calcio, vincitrice della Coppa del Mondo 99, sta avendo i suoi frutti: Clinton ha gia\' stanziato 27 milioni di dollari per ripristinare l\'Equity Pay Act.
La donna avanza, anche nello sport. Ma chiede piu\' diritti, soprattutto economici. La battaglia l\'hanno lanciata per prime le calciatrici della nazionale femminile degli Stati Uniti, vincitrici dell\'ultima Coppa del Mondo, che per protesta hanno rinunciato a partecipare ad un torneo in Australia e hanno chiesto trattamenti economici pari ai colleghi maschi. Durante il 99 le campionesse della nazionale, finite sulle pagine di tutti i giornali per le loro imprese, hanno guadagnato 3150 dollari al mese (contro i 23 mila dollari dei colleghi maschi). Ma quando hanno chiesto un aumento a 5000 dollari la federazione calcio americana ha detto di no. Anche la tennista svizzera (ma slovacca di nascita) Martina Hingis, numero uno al mondo nelle classifiche Atp, ha lamentato le differenze esistenti tra i premi riservati agli atleti maschi e alle donne nei tornei. E pure nel volley sono sorti i primi malumori, con le atlete che hanno messo un muro davanti alla federazione, rea di imporre in campo, su pressione degli sponsor, un abbigliamento troppo sexy. Insomma pare proprio che la rincorsa al record sia quello per un uguale trattamento tra uomini e donne. Del resto ormai lo sport in rosa sta pian piano raggiungendo, sia come notorieta\' che come capacita\' fisiche, i livelli degli uomini. Entro la fine di questo secolo, dicono gli esperti, la forbice tra prestazioni sportive maschili e quelle femminili, soprattutto nelle discipline di resistenza come la corsa ed il nuoto che non richiedono grandi masse muscolari, dovrebbe accorciarsi se non azzerarsi. Per quanto riguarda la maratona, ad esempio, Tom Cochran dell\'Universita\' inglese di Sheffield, ha elaborato una teoria secondo cui nel 2020 le donne realizzeranno gli stessi tempi degli uomini. Gia\' oggi ci sono atlete che riescono ad avere la meglio sui colleghi maschi: il record della tripla traversata della manica (34 ore) appartiene, infatti, ad una nuotatore britannica, mentre nella \"maratona oceanica\" di corsa (56 km) il record femminile non e\' lontano da quello maschile.Ma il problema dei pari diritti economici tra uomo e donna coinvolge non solo lo sport, ma tutto il mondo del lavoro. Negli Stati Uniti, in media, le donne guadagnano 75 centesimi per le stesse prestazioni per cui gli uomini vengono pagati un dollaro e solo il 3 per cento degli stipendi piu\' alti registrati nelle 500 piu\' importanti aziende le paese finiscono in mano alle donne. Per questo si e\' mosso direttamente il presidente Usa Bill Clinton, che la scorsa settimana dopo un incontro con la calciatrice della nazionale Michelle Akers, ha stanziato 27 milioni di dollari per ripristinare la parita\' di diritti economici tra uomo e donne. E voi, credete che in Italia esista la parita\' economica tra uomo e donna? Rispondete al nostro sondaggio o dateci un parere in message board.
01\02\2000
FONTE:http://www.spaziodonna.com/articolo.php?id=338
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LE DONNE: PIÙ BRAVE A SCUOLA, PIÙ DISCRIMINATE SUL LAVORO
Il 2007, Anno europeo per le pari opportunità per tutti, si sta concludendo all’insegna di un paradosso ormai consolidato dalla nostra tradizione nazionale: le donne sono più brave a scuola, ma sul lavoro fanno molta più fatica dei loro colleghi maschi ad affermarsi, in termini di stabilità, retribuzione e carriera”. E’ quanto emerge dal Rapporto Isfol 2007 presentato questa mattina Roma che conferma la maggiore propensione femminile allo studio. La migliore resa scolastica delle donne si evince a partire dai dati sulla dispersione scolastica: nel 2006 il tasso di dispersione femminile tra la popolazione 18-24enne è del 17,3%, mentre quella maschile arriva al 24,3%. Ancora più eloquenti i dati relativi ai risultati raggiunti dalle ragazze sia nella scuola secondaria sia in ambito accademico: complessivamente, nell’anno scolastico 2005-2006, il 76,9% delle giovani studentesse ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 65,4% dei maschi. Le studentesse – prosegue il Rapporto presentato dal presidente dell’Isfol, Sergio Trevisanato- mantengono la distanza dai maschi anche nella scelta degli studi universitari: nell’anno accademico 2006-2007, il 78,7% delle ragazze che si erano diplomate nell’anno precedente è passato all’Università; si tratta di una percentuale significativamente superiore al 72,5%, che corrisponde al tasso complessivo di diplomati passati, l’anno successivo al conseguimento del diploma, all’istruzione universitaria. Le matricole universitarie di genere femminile rappresentano il 65,1% dell’intera popolazione femminile tra i 19 e i 20 anni, mentre per gli uomini la percentuale è pari al 48,4%. In aumento anche il tasso di iscrizione complessivo che è del 59,5%, ma la presenza delle sole donne raggiunge il 68,8%.Continuano a prevalere le donne anche per il conseguimento della laurea: dei complessivi 161.445 studenti che nel 2006 hanno conseguito una laurea di primo livello, il 57,3% è costituito da donne. Se poi passiamo a considerare il gruppo disciplinare letterario, linguistico e psicopedagogico (pari al 22,4% dei laureati), che nell’anno di riferimento 2006 ha visto la più alta concentrazione di titoli di primo livello, vediamo che le donne, confermando anche qui una tradizionale propensione per le materie umanistiche, hanno conseguito quasi l’81% dei titoli”. A fare da contraltare a questi successi nel campo dell’istruzione i dati sull’occupazione femminile: l’obiettivo fissato dalla strategia di Lisbona di un tasso di occupazione femminile del 60% al 2010 appare irraggiungibile dall’Italia. Con un dato di poco inferiore al 47% nel 2006 (contro il 71% maschile) l’Italia ha già ampiamente disatteso anche l’obiettivo intermedio fissato al 57% per il 2005. La partecipazione al lavoro da parte delle donne tende costantemente a diminuire. Cresce il numero di coloro che si ritirano dal mercato del lavoro: quasi 10 milioni di donne in età lavorativa non hanno cercato un impiego (gli uomini in questa condizione sono circa la metà). Il lieve deterioramento della condizione delle donne nel mercato del lavoro è testimoniato dai dati relativi agli ingressi nell’occupazione. Nel 2006 solo il 36,7% delle nuove occupate è stato assunto con un contratto a tempo indeterminato (contro il 41,4% del 2005) e, rispetto all’anno precedente, sono cresciuti invece gli accessi mediante lavoro a termine (36,2) e a progetto (6,4%). Nel 2006 in seguito alla maternità ben una donna su nove esce dal mercato del lavoro. In due terzi dei casi per esigenze di cura e assistenza alla prole e per un terzo a causa di motivazioni legate al tipo di contratto di lavoro. Il tema della conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi extra lavorativi rappresenta un fattore determinante per la partecipazione femminile. Dall’indagine Isfol-Plus emerge che il 67% delle donne ritiene il proprio orario di lavoro “troppo lungo” per essere conciliabile con gli impegni familiari. D'altronde oltre l’80% dei lavoratori part-time è costituito da donne e, nella stragrande maggioranza dei casi, si è trattato di una scelta “obbligata”, che incide fortemente sulla retribuzione, nonché sulle prospettive di carriera. I salari delle lavoratrici sono in media inferiori del 25% rispetto a quelli dei lavoratori, se ci si riferisce al monte salari annuo calcolato dall’Istat. Il differenziale retributivo medio è pari al 15,8% a parità di contratto e di livello di inquadramento. Il dato medio per gli anni che vanno dal 1998 al 2002 testimonia comunque una lieve flessione del livello di disparità di trattamento che è sceso dal 18,5% al 15,8%. Il divario retributivo tra uomini e donne resta quindi uno dei maggiori ostacoli alla parità di trattamento, sia per le disparità a pari inquadramento e mansioni sia per la discriminazione all’accesso a posizioni meglio retribuite, anche a pari professionalità, istruzione ed esperienza lavorativa. Le donne che hanno ruoli di tipo “dirigenziale” (a vari livelli) sono il 22% contro il 38,5% degli uomini; tuttavia si può notare che le donne accedono a posizioni “di comando” in tempi più rapidi rispetto agli uomini. La strada per la risoluzione del gap con l’Europa – conclude il documento dell’Isfol - passa non solo attraverso la creazione di nuove opportunità per le donne che entrano per la prima volta o rientrano nel mercato del lavoro dopo un periodo di inattività, ma anche attraverso la comprensione degli ostacoli alla partecipazione femminile e il contrasto dei fenomeni di abbandono.
20\11\2007
FONTE:http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=1052
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DONNE ITALIANE, LE PIU' DISCRIMINATE
Il World Economic Forum di Davos, blasonato istituto di studi, ha stilato la classifica delle donne più e meno emancipate del mondo. L'elenco comprende 128 Paesi. In vetta le donne svedesi, norvegesi, finlandesi e islandesi (che per tradizione storica comandano sugli uomini). All'84° posto le donne italiane, che scivolano ulteriormente ad un 111° posto per quanto riguarda l'uguaglianza dei salari. Per un soffio superano l’africana del Malawi.
Le donne italiane sono le più discrimate sul lavoro. Keniane ed albanesi stanno meglio di lei...
10\11\2007
FONTE:http://luciagangale.blogspot.com/2007/11/donne-italiane-le-pi-discriminate.html