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In occasione del venticinquesimo anniversario l’Iscos, il punto a Torino sullo stato dei diritti dei lavoratori nel mondo. Toth (Ilo): ’’Parliamo di progresso economico, ma questo non esiste senza la dignità dei lavoratori’’
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TORINO - 189 milioni oggi i disoccupati nel mondo, 487 milioni i lavoratori sotto la soglia di povertà di 1 dollaro al giorno, 1,3 milioni che vivono sotto la soglia di 2 dollari al giorno. Ogni anno muoiono per incidenti e malattie professionali 2 milioni di persone e oltre 270 milioni di incidenti di lavoro non mortali, 160 milioni di nuovi casi di malattie lavorative (solo l'amianto uccide 100.000 persone all'anno); nel mondo ogni 15 secondi muore 1 lavoratore: 6.000 morti ogni giorno. Questi alcuni dati presentati al convegno "La tutela del lavoro nell'era della globalizzazione presentato ieri al Sermig e promosso da Iscos e Cisl Piemonte, per il 25 esimo anniversario dell'Istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo; un'occasione per fare il punto sullo stato dei diritti del lavoro nel mondo e sugli strumenti che le istituzioni internazionali adottano per la loro promozione, per riflettere sul ruolo del sindacato nell'ambito della cooperazione allo sviluppo e sulle sinergie realizzabili con le istituzioni locali e gli altri attori del territorio. "Il lavoro uccide più delle guerre - ha dichiarato Evelyn Toth, dell'Ilo Torino - e la povertà rimane la grande sfida. Parliamo spesso di progresso economico e delle imprese multinazionali, ma l'evidenza mostra che il progresso economico non porta automaticamente a nuovi posti di lavoro e a lavoro dignitoso. Di questo non si può parlare se c'è disoccupazione, mancanza di sicurezza sul luogo di lavoro e di libertà sindacali, se le donne sono pagate meno degli uomini, se sono sempre più le persone con contratti precari o lavoratori ?low cost'. Il sistema delle norme internazionali di lavoro è una garanzia dei diritti umani basilari in ogni parte del mondo". "Nella lista delle economie più competitive a livello mondiale (primi gli Stati Uniti, seguiti da alcuni paesi europei) - ha proseguito Toth - gli Usa hanno ratificato solo due regole minimali. Poi ci sono 7 paesi europei, (di cui 6 sono nell'Unione Europea), dove c'è il modello sociale europeo. Quindi, escludendo gli Stati Uniti, la competitività è possibile anche con un modello sociale molto avanzato, come quello europeo". Un discorso a parte per l'Est Europa: "Negli anni '90 durante la trasformazione economica dell'Europa centrale e orientale, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno promosso delle riforme più vicine al modello americano che non a quello europeo, con conseguenze molto gravi per la tutela dei lavoratori. In molti paesi dell'Europa orientale infatti c'è quasi un'assenza totale di una contrattazione a livello nazionale di categoria. A livello di diritti - ha concluso - all'interno dell'Unione, coesistono due Europe". Di "dire e fare" nelle politiche europee ha parlato Franco Chittolina, Fondazione Apice, con una parentesi di grande attualità: il tema della direttiva di espulsione e detenzione dei clandestini, "lavoratori presi e usati, e poi buttati", con lo spettro di norme detentive, in alcuni paesi, di 18 mesi. "Mi sarebbe piaciuto dire - ha commentato Chittolina - ? confidate sull'Unione Europea, perché è un argine di diritto', ma non oso dirlo". Mario Scotti, segretario generale della Cisl Piemonte: due gli atteggiamenti verso la globalizzazione, chi la vede come una risorsa, chi come una minaccia. "Occorre uscire dallo schema pro e contro la globalizzazione - ha commentato Gianni Italia, presidente dell'Iscos - bisogna promuovere una globalizzazione solidale. L'obiettivo del millennio era di abbattere la povertà entro il 2050, ma questo rischia di allontanarsi: il lavoro dignitoso è una risposta, ed è compito del sindacato".
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Rosa Ferrato
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15\05\2008
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